Ancora dal blog di Concita De Gregorio arriva una toccante testimonianza sulla condizione di “Sibling”, neologismo che indica i fratelli e sorelle di una persona con disabilità.
“Grazie alla lettera di Flavia Ferroni, Bruxelles
Da Flavia imparo oggi la parola ‘sibling’, indica in inglese una condizione che voglio condividere con voi. Fratelli, sorelle. La sua storia è iscritta nelle storie di ogni famiglia, anche nella mia. Mi ha riportato alla mente mio padre, suo fratello Carlo, sua sorella Laura e la loro infanzia di “fratelli di”. Abbiatene cura. State attenti. Abbiate pazienza. Mia nonna, il suo sguardo. E’ qualcosa che passa di generazione, resta scritta nella carne dei figli e dei nipoti, nelle mani e negli occhi. Sentite come la racconta Flavia.
“Ho 42 anni, sono di Roma, vivo con mio marito e tre figli a Bruxelles dove dirigo un team in una multinazionale farmaceutica. E sono la sorella di Marco. Quando Marco è venuto alla luce, con parto cesareo, aveva il cordone ombelicale stretto intorno al collo. Era il 1970 e allora non si facevano le ecografie”.
“A tre anni la prima diagnosi: ‘Ritardo psicomotorio di natura indeterminata’. Il colpo più difficile da incassare per i miei genitori fu quella parola: indeterminata. Poi nacqui io e mi arruolai dal primo giorno nell’avventura di famiglia: al centro di ogni cosa la gestione del “problema di Marco”. Quando mi capita di incontrare una famiglia con un ragazzo disabile il mio sguardo cerca istantaneamente suo fratello o sua sorella. In quel bambino “normale” rivedo me stessa da piccola, mi si bagnano gli occhi e sento come se una cicatrice profonda ricominciasse a sanguinare”.
“In Italia i temi dell’handicap ruotano intorno alla “malattia”, ai disagi della persona affetta e al calvario dei suoi genitori. Si parla poco dei fratelli e delle sorelle. Ma ho scoperto che sono nate di recente delle associazioni che danno voce ai “sibling” delle persone disabili. Sibling è un termine inglese che indica la condizione di fratello o sorella, indipendentemente dal genere. E’ sorprendente scoprire quante affinità abbiano le nostre storie, riconoscere le stesse esperienze che hanno condizionato il nostro modo di essere, inciso le nostre vite”.
“Vivere la diversità sin da piccoli allena la sensibilità, sviluppa l’intelligenza del cuore, abitua a mettersi al servizio e a lavorare duro. Da bambini abbiamo imparato ad assumerci molto presto grandi responsabilità. Sorvegliavamo i nostri fratelli quando mamma e papà erano impegnati, passavamo con loro ore nelle sale d’attesa di ospedali. Abbiamo sostenuto genitori spesso provati dall’angoscia e dalla stanchezza, assistito a scene drammatiche che non potevamo raccontare ai nostri coetanei. C’eravamo anche noi sotto i riflettori, sebbene non fossimo i protagonisti, tutte le volte che in piazza, in spiaggia, al ristorante avremmo voluto toglierci di dosso sguardi curiosi, allarmati o schifati e disperderci nella massa normale”.
“Tutte queste cose le confidavo ai miei diari segreti. Anche il mio desiderio infinito di coccole. In pubblico non chiedevo niente, neanche ai miei genitori. Ci mancherebbe. Come potevo lamentarmi, io che avevo la fortuna di essere nata normale?”.
“Cari sibling come me, di qualsiasi età, facciamo sentire la nostra voce. Prima di tutto per noi stessi, per accettarci e volerci più bene. Non è una colpa, non ameremo di meno nostro fratello. Facciamolo per gli altri che verranno. Contribuiremo a preparare un mondo più accogliente, anche per loro”.
Fonte: repubblica.it
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