Foto di Paola Olmi
Uno sguardo chiaro e attento che si accompagna a un sorriso sereno in un ovale delicato vestito da capelli corti e sbarazzini.
È Francesca Ferranti, 32enne di Tolentino, sposata dal 2013 con Paolo Dignani dopo 12 anni di fidanzamento. Mamma di Matteo nato il 3 ottobre 2015 e Maria nata 16 mesi prima, precisamente il 24 maggio 2014.
Come è stata la gravidanza della sua primogenita?
Direi ottima, tranquilla, senza alcun problema o avvertimento, insomma qualcosa che mi facesse preoccupare.
E il parto?
Il parto in sé bene anche se ritengo che sia un’esperienza che metta a dura prova una donna. Appena è nata Maria, a Macerata, è iniziato un periodo molto particolare della mia vita.
In che senso?
Quando lei è venuta alla luce ho avuto il tempo di abbracciarla un attimo e me l’hanno immediatamente portata via, in incubatrice. Mio marito l’ha seguita in neonatologia e lì mi aspettavano. Io non andavo. Credevano che da parte mia ci fosse un rifiuto visto che avevamo scelto di non fare alcuna indagine prenatale. In realtà ho avuto un attimo di tentennamento perché non mi sentivo bene fisicamente ma dal primo attimo che ho visto mia figlia e che sono riuscita a darle un abbraccio tutto era già scritto: qualunque cosa fosse accaduto io ero con lei, al suo fianco, anche se in quel momento dovevo rimanere a letto a Macerata.
Cosa ha Maria?
Avevano riscontrato un problema, non aveva una parte dell’intestino e per questo è stata sottoposta a tre interventi a partire da quando aveva poche ore, realizzati all’ospedale Salesi di Ancona. L’ha accompagnata mio marito mentre io ero ancora in ospedale, un po’ confusa.
E poi?
Poi, dato che il problema che ha avuto Maria è spesso collegato alla sindrome di Down, i medici hanno immediatamente visto che erano in lei presenti caratteristiche che accompagnano la Trisomia 21.
Come ha vissuto il tutto?
In modo sereno. Prima di sposarmi ho fatto il servizio civile in una casa famiglia. È stata un’esperienza indimenticabile e uno dei bambini, con il quale ho legato in modo particolare e che mi ha accarezzato il cuore, mi ha dimostrato che si può andare oltre la disabilità.
Suo marito come si è sentito?
Anche lui appena ha visto nostra figlia se ne è innamorato pazzamente, nonostante in lui si rincorrevano mille pensieri.
In cosa è consistito il primo intervento chirurgico?
È stata fatta una colostomia; poi Maria è entrata in rianimazione per una quindicina di giorni perché faceva fatica a risvegliarsi.
Quanto tempo siete rimasti in ospedale?
Abbiamo trascorso tre mesi in ospedale, intervallati da brevi soggiorni a casa di mia madre per essere un po’ coccolati.
Quindi?
Quindi il fatto che Maria avesse la sindrome di Down è passato in secondo piano visto che erano ben altre le priorità in quei primi tre mesi. Per noi era importante che uscisse dall’ospedale e si riprendesse bene dagli interventi. Così è stato.
In pratica il problema all’ intestino e tutto ciò che ne è conseguito ha fatto da filtro alla condizione di vostra figlia?
Esattamente. Tutto è passato per quel filtro: i rapporti con i familiari e gli incontri con gli amici. Mentre passavano i giorni, dopo l’ultimo intervento lei iniziava con le prime risatine, era dolcissima.
Quando avete iniziato ad accompagnarla all’Anffas di Macerata?
A quattro mesi.
Così presto?
Sì, perché, sempre durante la mia esperienza nella casa famiglia, ci avevo accompagnato una bambina e, appena Maria è diventata stazionaria, ce l’abbiamo portata. Era una realtà che mi piaceva molto e con il tempo ci è piaciuta sempre più. Inoltre leggendo e confrontandoci con altri genitori ci aveva consigliato di stimolarla il più possibile e prima possibile.
Con quale frequenza va alla Onlus?
La portiamo due volte a settimana. Ha un incontro di logopedia e uno di psicomotricità con le terapiste dell’Anffas.
Cosa fa lei mentre aspetta Maria?
Faccio un giro all’interno della struttura, una passeggiata lì fuori, insomma non mi allontano. Mi trovo bene, l’ambiente è molto sereno e altamente qualificato. Le sue terapiste sono il nostro punto di riferimento. Matilde, terapista che ha preso in carico Maria piccolissima, è fortissima, diretta e ci apre gli occhi in modo anche un po’ forte. Ci fa stare con i piedi per terra e ci fa cercare di migliorare per affrontare la questione in modo diretto e senza perdere tempo. Maria, la logopedista, ha subito legato con nostra figlia, e grazie alla sua dolcezza e alla sua professionalità, offre sempre nuovi stimoli alla piccola.
Come definisce Maria?
È una bambina molto allegra, porta gioia ovunque lei vada, un raggio di sole in ogni luogo, anche un po’ in ombra. Lo noto sempre: in luoghi e momenti tristi lei arriva e spazza via tutto. È una dote incredibilmente bella. E poi è entusiasta del mare, della neve, insomma della vita. Ha i suoi tempi mentre io sono molto pratica e veloce. Con lei mi rendo conto di dover aspettare. Mi sta insegnando l’arte dell’attesa.
Come ricorda e come vive oggi la sindrome di Maria?
Ricordo che durante la gravidanza non abbiamo voluto sapere nulla. Per noi Maria era Maria e basta. La sindrome l’avremmo affrontata piano piano.
E le persone a voi vicine come hanno reagito?
C’era chi mascherava un certo disagio mentre c’era chi non riusciva a nasconderlo. Ci sono stati diversi episodi che ci hanno rattristato: persone che hanno raccontato ad altre, al nostro posto, che la piccola aveva la sindrome di Down. Avremmo preferito riferirlo noi di persona, viso a viso, quando loro sarebbero venuti a farci visita. Immagino che sia stato un comportamento in buona fede ma ci è sicuramente dispiaciuto molto.
Da dove nasce la sua serenità?
Non saprei, penso dalla fede. In realtà ho anche avuto qualche momento di smarrimento: nato Matteo, dopo aver sistemato la nostra casa, ci siamo trasferiti ed è arrivato il terremoto. La casa è diventata inagibile. Allora siamo andati a casa di mia nonna per circa un anno. Insomma è stato un periodo molto difficile.
Trova anche il tempo per lavorare?
Sì. Anche io sono ingegnere, come mio marito, ma lavoro nell’azienda di famiglia. Ora Matteo va al nido, Maria alla scuola dell’infanzia; mio marito insegna e fa la libera professione e in più ci sono le nostre famiglie che ci aiutano molto. Per me è stata una grande conquista tornare a lavorare perché in questo modo stacco da quella che è la routine domestica.
Le capita mai di trovare difficoltà nel gestire lo sguardo degli altri?
All’inizio mi dava molto fastidio poi ho notato che Maria riesce a stupire, riesce ad abbattere anche qualche tabù su questa sindrome. Vedo tanta curiosità intorno a lei.
Pensa di scrivere un libro sull’argomento come è stato fatto, ad esempio, da Martina Fuga, Guido Marangoni e Annalisa Sereni?
Sinceramente no, ma chi può saperlo! Queste letture mi sono di grande aiuto. Generalmente non amo leggere ma questi libri li ho divorati e ne rileggerò alcuni passi, ogni volta con occhi nuovi.
Ha mai pensato al futuro?
Cerco di vivere giorno per giorno, di fare un passo avanti all’altro. Ho scelto per i miei figli una scuola con poche sezioni, in quanto per Maria preferivo un ambiente raccolto. Le insegnanti sono entusiaste di lei, mi dicono che si è integrata con i suoi compagni e non solo, le vogliono bene tutti. Poi vedremo. Secondo me pensare troppo a lungo temine e fare progetti a volte non serve in quanto spesso essi vanno cambiati in base alle circostanze e si può venire categoricamente smentiti. A volte, ora, vorrei difendere mia figlia invece vedo che lei si difende benissimo da sola. Ci sono sorprese che non ci si aspetta. Tutto si vive quando è il suo tempo. Tra le paure del futuro, c’è l’inclusione, ovvero tutti non la pensiamo allo stesso modo. Temo che qualche mamma, ad esempio, possa non vedere Maria come una risorsa nella classe ma come un freno all’andamento scolastico. In realtà è una tristezza più che una paura.
Cosa direbbe a una mamma in attesa di un piccolo con trisomia 21?
Le sorriderei e le direi, semplicemente, di non avere paura. Il suo piccolo la sorprenderà.
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