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Mia figlia dopo di noi

Riportiamo volentieri un bellissimo articolo di Concita De Gregorio su Repubblica, un esempio reale e concreto da cui imparare molto.

“Grazie alle parole di Gabriella Mazza, Bologna

Gabriella ha 51 anni, è originaria di Benevento, vive a Bologna da vent’anni. E’ impiegata. Lei e suo marito hanno due figlie: Eleonora, 24 e Isabella, 20. Mi racconta di Isa, autistica. “Sono giorni così difficili… Isa finirà la scuola e diventerà, per la società, una desaparecida. Sapevo che sarebbe successo, ma nonostante ci fossimo preparati fa più male del previsto. La realtà è che gli adulti con autismo non esistono: niente è previsto per loro…”.

Sono tre milioni in Italia le persone nella condizione di Gabriella: famiglie di ragazzi con handicap gravi che vivono nell’angoscia di non sapere cosa sarà dei figli quando loro non saranno più lì ad accudirli. Parliamo a lungo al telefono. Gabriella mi racconta prima di tutto una gioia: Eleonora, la figlia grande, da qualche anno riesce ad esprimere la sua rabbia e da ultimo ha preso a insegnare una musica, al piano, alla sorella.

“Alla diagnosi di autismo di Isabella Eleonora aveva sette anni. Quando andavo a prenderla a scuola con Isa che si dimenava lei si vergognava. Alla fine ho smesso”. Eleonora, racconta, è eterea: magrissima, silenziosa, “quasi si nasconde rispetto alla sorella che è tutto il contrario: salta, fa rumore”.

In questo spazio abbiamo già parlato di come si senta il fratello o la sorella di chi ha un handicap: lo ha fatto Flavia, sorella di Marco. Gabriella racconta che certo, i genitori provano ma è inevitabile che l’attenzione si concentri su chi ha più bisogno. E adesso che finirà la scuola di Isa cosa succederà? “Un anticipo è già arrivato. Ci hanno negato la possibilità di partecipare al campo estivo pubblico dove era stata l’anno scorso, il progetto Scuole aperte. E’ troppo grande, hanno detto, e “ci sono stati problemi di comportamento, non possiamo…”.

“Mi hanno rimandata al servizio di neuropsichiatria, al socioassistenziale, ai centri diurni. Ma nei centri diurni non c’è personale con competenze cognitivo-comportamentali. Noi non abbiamo bisogno di un parcheggio estivo per Isa, ce ne siamo sempre occupati in famiglia. Vorremmo però capire cosa accade dopo i 18-20 anni a un ragazzo autistico. Ho scritto anche al nostro sindaco: qui a Bologna i servizi funzionano ma non vedo niente per Isa. Noi siamo ancora giovani ma è un lavoro che ci sfianca, gli ho detto: proviamo a condividere la fatica e studiare un progetto?”.

Qualcosa che prosegua il lavoro e faccia leva sui progressi. Per esempio, dice Gabriella, “le ho insegnato alcune piccolissime cose di vita domestica, prima non ci riusciva. Ho lavorato sul tempo di interruzione delle stereotipie dell’autismo: vocali, motorie. Allungare questo tempo. Adesso riesce a stare a tavola senza sfogliare continuamente riviste e ipad, ora i pasti sono normali. Stiamo lavorando sulla vestizione, poco a poco”. Eleonora finirà gli studi e andrà via da casa. Isa resterà. “Io mi spavento quando leggo, l’ultima volta su Repubblica del 5 marzo, di genitori che fanno gesti terribili come quello di uccidere se stessi e i propri figli. Mi spavento ma capisco l’abisso di un’angoscia che non trova posto. Gli anni di stanchezza, la solitudine. Esiste una legge, ora, sul ‘Dopo di noi’: le leggi sono necessarie ma non sufficienti. L’attenzione, il sostegno, l’ascolto non possono essere sempre postumi. Non devono”.

Fonte: repubblica.it

 

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